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Jodorowsky e il viaggio “panico”

Tratto da Jodorowsky errante – Viaggio nel cinema di Alexandro Jodorowsky di Emanuele Bertolini, 1999

Che cosa è il “panico”?

“Antidefinizione: Il Panico (nome maschile) è un «modo di essere» retto dalla confusione, l’humour, il terrore, il caso e l’euforia. Dal punto di vista etico il panico ha per base la pratica della morale al plurale e, dal punto di vista filosofico, l’assioma «la vita è la memoria e l’uomo il caso»”

Arrabal, L’uomo panico, in I Panici  a.c. Dominique Sevrain, 1972, p.31

Questa è forse l’unica definizione istituzionale e tradizionale rintracciabile sul Panico. Il motivo di una tale mancanza è giustificato dalla natura del movimento che sin dagli inizi rifiuta qualsiasi ufficializzazione. L’uomo panico teme ogni sbarramento al flusso continuo e irrefrenabile dell’esistenza. Ogni pensiero, concetto, definizione che limiti il cambiamento è da rigettare nel modo più assoluto.

L’uomo è ammalato di una malattia che lo rende inadatto al mondo che lo circonda. Un virus che lo porta a cristallizare il reale-sempre-cangiante in concetti immobili e per questo inadeguati. L’essere umano si illude di poter intervenire sull’universo senza rendersi conto che non ha la possibilità di capirlo.  Le categorie mentali che lo animano sono inadeguate allo scorrere perenne delle cose. Egli è sostanzialmente un disadattato. Il Panico è l’unica soluzione. Riuscire a riconoscersi in questo stato e rinunziare programmaticamente al principio di non contraddizione è il primo passo per divenire panici.

Fare del paradosso e della contraddizione la propria unica ragione di vita  è il successivo. Sostiene Jodorowsky: “Di fronte alla realtà e ai suoi problemi, l’uomo panico non si pone la questione di cercare una soluzione ma propone il maggior numero di soluzioni possibili. L’uomo panico tenta di afferare il tutto.”1A. Jodorowsky, Panico e pollo arrosto, in D. Sevrain, op. cit., p.41

La giustificazione di questo passo è tanto indicativa quanto gustosa. Partendo dal presupposto che “le idee hanno bisogno di consumare il calore (energia vitale) accumulato nell’essere”, risulta evidente che l’uomo panico “essendo capace di vivere molte idee contraddittorie nel medesimo tempo ripartisce il calore secondo la molteplicità dei suoi principi  di modo che ogni sua idea-azione viene portata ad una normalità sopportabile e benefica. Invece l’augusto (che è l’uomo-non-panico), non essendo capace di pensare se non per definizioni e non potendo vivere che una sola idea, utilizza tutto il suo calore vitale  per sostenere la sua gretta teoria , e i suoi pensieri divengono così caldi che finisce per arrostirvi. L’augusto si “indora” con i suoi stessi concetti; la sua testa e la sue viscere bruciano, e con l’ano trapassato dallo spiedo della sua teoria, se ne va, in branchi, per il mondo, simile ad un pollo arrosto”2A. Jodorowsky, op. cit., p. 41.

Il movimento panico - Viaggio nel cinema di Alejandro Jodorowsky - a cura di Emanuele Bertolini

I capisaldi del movimento Panico

Già da questo brano è possibile individuare quelli che sono i “capisaldi” della pseudo-teoria panica3Lo stesso Sevrain intitola “Verso una teoria” la sezione del suo saggio sui Panici evidenziando il carattere in fieri degli apporti panici. ricercandone i motivi con riferimenti alle avanguardie primonovecentesche.

  • Carattere sovversivo e liberatorio (storico artistico e sociale)
  • Humour
  • Presupposto temporale-conoscitivo

Partiamo da quest’ultimo che risulta essere uno dei motori dell’analisi svolta in questo studio. È impossibile non rintracciare nel modello temporale panico il seme di quella che caratterizzerà tutta la produzione artistica di Jodorowsky. Proprio negli anni sessanta, cioè prima di cominciare la sua carriera cinematografica, egli si ritrova protagonista di un’avventura che pone le sue basi sulla imperscrutabilità del reale, sul riconoscimento di due orizzonti temporali a se stanti: da una parte quella dell’universo che viaggia insensibile e irrefrenabile verso l’ignoto e dall’altra quella degli esseri umani che, come dei bradipi, cercano invano di cogliere brandelli di verità dandogli valenze assolute.

L’uomo panico Jodorowsky è quello che comincia a ragionare sull’impossibilità di fare i conti col mondo, che cita Eraclito ad ogni piè sospinto, che sotiene tutto ed il contrario di tutto e che capisce che l’arte è l’unica via di salvezza. “Il desiderio di DURARE tormentò l’umanità prima del Panico e poiché l’augusto non poteva essere mummificato in vita, fabbricò degli oggetti che gli potessero sopravvivere. Costruì piramidi, templi, acquedotti, sculture, libri, quadri, e segnò la sua vita e la sua immagine; tentò di annegare la sua «persona» nel suo «personaggio». Tentò di perdersi nell’opera, purchè quel che produceva gli sopravvivesse malgrado il TEMPO. 

Al suo opposto il Panico sostiene che l’oggetto deve essere più effimero dell’uomo e che questi a sua volta deve liberarsi dell’atavismo di «passare alla storia», prodotto dell’io individualista angosciato”4A. Jodorowsky, op. cit. p. 43(corsivi miei). Un’altra volta ci troviamo di fronte all’impasse accennata nei paragrafi precedenti. Il tempo, con tutti i suoi paradossi, ha una importanza fondamentale nell’arte come nella vita.

Per chiarire meglio la concezione temporale panica, però, ritorniamo alla antidefinizone di Arrabal citata all’inizio del capitolo, analizzando il passo del saggio del 1963 da cui è stata tratta5Le citazioni sono tratte dal testo di Arrabal, op. cit., p.30 ss.. Attraverso un gioco letterario molto panico, Arrabal arriva a sostenere che “l’avvenire agisce attraverso colpi di scena” e che quindi è determinato dal caso. Supponendo quindi che la confusione regga il nostro avvenire, conseguentemente essa reggerà anche il nostro presente e il nostro passato (ex-avvenire), custodito nella memoria. I tre grandi problemi che gli sembrano emergere da queste considerazioni diventano quindi: la memoria, il caso e la confusione.

Arrabal definisce poi tutte le facoltà umane in modo stereotipo, servendosi esclusivamente della memoria (immaginazione: facoltà di combinare i ricordi; intelligenza: facoltà di servirsi della memoria; riflessi: automatismo per utilizzare la memoria, ecc.), sottolineando quanto la memoria sia sottomessa al caso (“il passato fu il futuro, la memoria fu il caso”), dominata dalla confusione e soprattutto quanto essa sia presente tanto nell’avvenire (il caso al quadrato), quanto nel passato (ex-caso). La sceglie quindi come UNITA’: “se ci si riferisce al presente (punto zero) essa (la memoria) è negativa, perché si pone a sinistra, e presenta un carattere passato, soprattutto se paragonata al carattere positivo del caso”, e la assimila completamente all’uomo6Testualmente: “Memoria = caso al quadrato
ÖMemoria = caso al quadrato
Ö – 1 = caso”
: “ricordandomi della celebre formula «lo stile è l’uomo» ne dedussi che il «caso è l’uomo» e più precisamente che «l’uomo è il caso»”. Chiamando poi in causa alcuni neurologi (che non cita), prosegue: “si è identificata la sostanza che verosimilmente sarebbe il supporto dei nostri ricordi; deriva da un acido nucleico  della medesima struttura  di quello, che nel nucleo delle cellule, realizza il programma in base al quale un essere  vivente è capace di costruire un altro essere simile a lui. Il che vuol dire che il supporto della memoria è il supporto della vita”. Il passo successivo è semplice: “La vita è la memoria”.

Senza entrare nel merito delle considerazioni decisamente paniche di Arrabal, limitiamoci a evidenziare le conseguenze che una siffatta pseudo-teoria determina nella poetica panica. Se “l’uomo è il caso” più l’opera artistica sarà retta dalla confusione, dall’inatteso, e animata nell’indeterminazione, più essa sarà ricca stimolante e affascinante7. Sottolinea giustamente ancora Arrabal. “Resta beninteso che l’uomo panico non graverà le sue «creazioni» con desideri di «servire» né di illuminare l’avvenire. Egli se la ride «dei profeti dalle mani irrimediabilmente insanguinate» e delle sue «missioni».

In un saggio dell’ottobre del 19658Verso l’effimero panico o trarre fuori il teatro dal teatro in Dominique Sevrain, op, cit., p. 55 ss., anche  Jodorowsky individua proprio nella  “provocazione degli accidenti” la base su cui poggiare il proprio teatro. La pratica teatrale, sostiene Jodorowsky, non ha ancora trovato mezzi di espressione suoi propri ma si è manifestata con la mediazione di una lingua letteraria, pittorica, scultorea, musicale, e ha copiato in modo rudimentale la filosofia e la teologia. Proprio questa promiscua  confusione nasce dal fatto di aver considerato il teatro come un’ “Arte”  e di avergli attribuito il “carattere durevole “delle altre arti. Egli sostiene che gli uomini di teatro hanno sempre sentito con angoscia il carattere non durevole delle loro opere e l’impossibilità di una rappresentazione perfetta. L’attore cambia, invecchia, muore; i costumi si logorano; un riflettore si guasta, un oggetto sparisce all’ultimo minuto, si dimentica un verso, un ventre finto cade.

Tutto ciò, ricordiamolo, è uno dei leight motiv dell’autore: tutto è all’insegna del caos, della confusione, che regnano sovrani nella concezione panica della vita. Sempre secondo il regista, sommando gli elementi  di una rappresentazione, si ottiene  una risultante ogni volta distinta da quella delle altre rappresentazioni. Gli sforzi per creare un rituale che possa ripetersi come un meccanismo, sono accompagnati ogni volta da un’antitrama di “errori”: accidenti che giungono sempre come ombre, che gli uomini di teatro combattono perché li considerano delle “imperfezioni”; errore questo che fa loro disprezzare l’essenza stessa del linguaggio teatrale che è – appunto – la provocazione degli accidenti.

Jodorowsky Panico

Jodorowsky & Co. intuiscono la fertilità di un approcio così strutturato e si divertono a giocarci: “Dopo il Panico – sostiene ancora l’autore – si costruiranno e si distruggeranno gli oggetti che si ricominceranno a fabbricare differenti. E poiché l’uomo panico non fa economia né progetti, produrrà un’architettura instabile (città come il fiume di Eraclito; l’uomo non abiterà due volte nella stessa città), opere d’arte inconservabili e teorie in continua trasformazione, dato che tutta la sua teoria si fonda su una METAMORFOSI CONTINUA di se stesso e degli oggetti che lo circondano”9A. Jodorowsky, op. cit..

Nel già citato saggio “Panico e pollo arrosto”10D. Sevrain, op. cit., p. 42 Jodorowsky sostiene che  esistono uomini di pensare panicamente senza essere altrettanto capaci di agire e degli altri che agiscono panicamente senza essere tuttavia capaci di pensare. È questo generalmente lo stato attuale della nostra civiltà; da una parte, delle idee senza azione e dall’altra un’azione senza idee. L’uomo panico deve tendere all’idea-azione. Ed è questo che porta il pensatore ad essere un guerriero e l’atleta panico, un “creatore spirituale”. Quanto Marinetti in queste parole, e veniamo così al primo caposaldo citato in precedenza.

È impossibile esimerci dal sottolineare (se fosse necessario) la filiazione avanguardista del movimento Panico. In primis, nei confronti proprio del futurismo da cui attinge questa visione dell’agire come concretizzazione del proprio credere. Poi del Dadaismo, che suggerisce e regala al Panico il gusto dell’in-significante in funzione anti-borghese. Ma è soprattutto nei confronti del surrealismo che i panici sono debitori. La tensione verso quegli spazi di risolutiva autenticità, tanto bramata nel Panico, è la stessa che animava Breton e soci. E quegli spazi, ora come allora, vengono ricercati nelle pieghe più profonde della psiche e dell’inconscio sentito, non soltanto, come un sistema mentale tra gli altri, ma, e soprattutto, come garante di una immaginazione totale, di un rovesciamento dell’avvilente logica corrente, come una strada per raggiungere il fondo assoluto dell’universo, per comunicare con una realtà superiore e segreta.

Il rapporto con le avanguardie

Se uno dei caratteri comuni di tutte le avanguardie del primo novecento è proprio la spinta verso manifestazioni artistiche che si vogliono eversive, che propongono immagini di vita libere dal peso di una tradizione sentita ormai come carcere opprimente, che svuotino il tronfio sussiego delle Accademie, la stabilità asfittica dei valori consacrati, emerge evidente la linea rossa che ci porta, da quelle teorie, sino ai Panici negli anni sessanta. Se futuristi, dadaisti, surrealisti si muovevano (con modalità e risultati diversissimi fra loro) contro la compostezza ipocrita imposta dalle norme sociali, contro i miti borghesi della produttività e del lavoro, il collegamento con il lavoro svolto da Jodorowsky e compagni risuona come un déja vu continuo, ancorchè carico di presupposti storico-artistico-sociali assai differenti. La spinta è sì, indirizzata verso i medesimi lidi: verso quella libertà anarchica espressa nel e dal gioco apparentemente più gratuito ed infantile (e gli “augusti” citati da Jodorowsky sono l’esatto corrispondente dei borghesi d’inizio secolo, solo dei ciechi rassegnati alla loro condizione), ma con spunti e obbiettivi leggermente differenti. 

Ultimo punto da considerare fondamentale per un raccordo fra le avanguardie artistiche ed il movimento panico è lo humour. Insieme all’euforia e al terrore esso risulta, infatti, essere il fondamento della corrente panica. Come già avevano intuito i surrealisti (e prima di loro almeno Bergson, Pirandello e Freud11Fra la fine dell’ottocento e i primi anni del secolo prende l’avvio un interesse sempre maggiore nei confronti di questo tema. Si susseguono infatti pubblicazioni molto diversificate quanto ad approcci e intenti.

Nel 1899 esce la prima edizione di Le Rire di Bergson, Freud nel 1905 pubblica il Der Witz e nel 1908 Pirandello L’umorismo. Lavori assai diversi nell’impostazione e nelle conclusioni ma che indubbiamente suggeriscono un medesimo approccio al tema.
, l’humour in tutte le sue rappresentazioni possiede un potere derealizzante pressocchè illimitato. Lo stesso Breton nel suo Anthològie de l’humour noir apparso nel 1939, pone l’accento su questa caratteristica, evidenziando come esso sia  una delle condizioni fondamentali per la negazione della realtà data e della sua falsa apparenza, e contemporaneamente, come esso sia veicolo di avvicinamento a quella realtà superiore ed autentica tanto bramata dalle avanguardie.

Lo humour è uno sguardo-altro sulla realtà. Deformante come uno specchio magico, frastorna chi ne usufruisce, permettendogli un azione conoscitiva tanto epidermica quanto intellettiva. Si pone come base gnoseologica alternativa. Già Freud sottolinea quanto il processo di riduzione12Processo che consiste nel rintracciare il “senso originario”  del witz, ciò che esso vuole dire mascherandosi con il suo gioco di parole o di concetti: la sua veste arguta viene così isolata, e se ne può capire meglio il meccanismo. (elemento caratteristico del witz) si presenti dunque come estrazione di un senso nascosto, decifrazione di un contenuto psichico latente sotto il rivestimento tecnico che lo determina. E ciò è giustificato dal fatto stesso che sia possibile leggerlo come un modo di sottrazione e di distorsione di qualcosa che appunto può manifestarsi soltando sottraendosi e distorcendosi. Esso (il motto di spirito) vuol dire sempre qualcosa d’altro da ciò che appare nella sua facciata esterna, ma nello stesso tempo la presenza di quella facciata è fondamentale perché “quell’altro” possa in qualche modo essere detto13Per fare un esempio del witz panico cfr. Arrabal, Topor pittore, in Dominique Sevrain, op.cit. p. 107. È un passo basato sul senso ironico del vocabolo pet e tutti i suoi derivati che riempiono la scena.. Questo tipo di approccio (che presuppone, fra l’altro un fondamentale apporto psicologico) è rinvenibile sottotraccia in tutta la variegata produzione panica.  Fra i “temi e spunti dell’uomo panico” (paragrafo del già citato testo di Arrabal “L’uomo panico”) sono elencati elementi che manderebbero in sollucchero il padre della psicanalisi. Nel dettaglio sono così elencati:

  • Io
  • allegoria e simbolo
  • mistero
  • sesso
  • humour
  • creazione di chimere
  • la realtà sino all’incubo (incluso)
  • l’oscenità ed il ripugnante (così umani)
  • innesto di nozioni ritenute spregevoli, nel dominio della «serietà»; in parallelo, sconvolgimento dei valori stabiliti
  • uso di tutti i postulati, di tutte le filosofie, tutte le morali (rivendicandone le parti che convengono)

È impossibile non notare l’ironia insita in un così strutturato (ma lo è?) progetto. Le considerazioni riportate in parentesi pretendono almeno un sorriso. Sorriso che è voluto, costruito e ricercato da tutti i panici, come palliativo contro il germe che vogliono inoculare nel lettore e fruitore delle loro “opere”. I panici sembrano dei “rimbambiti”, nel senso etimologico del termine; degli adulti che si sforzano senza sosta di ritornare alla fase anale della propria infanzia: egotisti ed egocentrici che cercano di attirare l’attenzione sulle loro marachelle apparentemente puerili ma che celano obbiettivi e strategie “da grandi”. Prova ne sia il richiamo, fortissimo e non celato, proprio a quel periodo storico artistico primonovecentesco.

C’è come la voglia di superare i limiti che le avanguardie si erano autoimposte involontariamente: il rifiuto della logica tradizionale si era tradotto, infatti, nella formulazione di un’ulteriore anti-logica, ancora più recisa e prepotente nell’affermazione di valori a-priori. Il “nuovo” approccio panico, invece, attraverso un uso ancor più smodato e insulso del riso, dell’euforia e dell’esagerazione, non si propone di affermare nulla. In questo senso forse è più vicino a quel dadaismo che sosteneva, attraverso le parole di Picabia14Picabia, Manifesto cannibale dada, in Tristan Tzara, Manifesti del dadaismo e Lampistere, tr. it., Torino, Einaudi, 1964, p.98.: “Tutti voi che siete seri, puzzerete più della merda di vacca”. 

Quanto a DADA, non manda nessun odore, non è niente, niente di niente”. Ma se la maschera DADA non voleva più essere neanche una maschera, il gioco di sottrazione della presenza, in cui i dadaisti intuiscono una delle strutture fondamentali del comico, tende ad una distruzione immediata di ogni definizione, di ogni maschera, di ogni parola, di ogni sguardo. E quindi, coerentemente non poteva permettere la creazione di una scuola o l’elaborazione di una teoria di lunga durata. Il panico, invece, anche se farà la stessa fine, porta la rivolta avanguardista alle astreme conseguenze, ricercando un senso positivo e annullando l’elemento autodistruttivo di Tristan Tzara15Fra gli esponenti più rilevanti del dadaismo giunge, nel 1921, persino a negare la stessa proponibilità del termine DADA, affermando implicitamente la prorpia insofferenza per il nome già dato, per la sistemazione che la stessa parola “umorismo” già prospetta nel pronunciarsi. T. Tzara, op. cit., p.48. non c’è più opposizione tra reale e apparente, tutto è il contrario di tutto, ed entrambi hanno senso solo se rinnegati a loro volta, in un’eterna sconfessione dei parametri acquisiti, fossero pure quelli delle avanguardie storiche più nichiliste. Il panico non è neanche la continua affermazione di ciò che si è negato in precedenza (o la negazione di ciò che si è affermato) ma la capacità di far convivere e coesistere il maggior numero di opposizioni. Ancor meglio: non pensare più in termini oppositivi ma contraddittoriamente affermativi.

Riportiamo, per maggiore chiarezza e come esempio riassuntivo ed esplicativo di quanto detto sinora, il racconto fatto dallo stesso Jodorowsky di uno dei suoi effimeri panici:

“Supponiamo che l’effimero debba aver luogo in un palazzo di giustizia. Il governo del paese X ha abbandonato il suo carattere di augusto e ha messo a disposizione l’edificio senza paura della «indegnità» e dell’«irrispettoso», dell’«impudico.
La banda panica si riunisce. Si stabiliscono la idee di base. Il luogo, è chiaro, suggerisce una manifestazione sulla falsariga del processo. A questo punto la schema è stabilito. Ci saranno l’accusa, l’accusato, la difesa, i testimoni, i giudici, gli avvocati, il pubblico, ecc.
Da questo momento, ci si occupa dei dettagli. Dettagli, che qui adesso, subiranno una limitazione. In quanto saranno manifestazione di un solo spirito individuale (il mio) mentre dovrebbe essere la risultanza di un pensiero collettivo. Il pubblico che assisterà al processo sarà costituito da un’orchestra di ciechi, un gruppo di contorsionisti nell’esecuzione dei loro nodi in costumi stile ‘900, qualcosa come quattro dozzine di bebè dipinti di blu, alcune orfanelle, ogni specie di militari, un gruppo di invalidi senza gambe che, seduti sulle sedie a rotelle, giocano al calcio con bastoni di legno, ecc.
Dai buchi del soffitto possono apparire teste di donne che recitano senza mai interrompersi alcuni brani della Costituzione o parole di tanghi.
Sul banco dei giurati si metteranno dodici prostitute molto note del luogo, in tenuta da lavoro.
Come giudici potranno prendere posto cinque dipsomani dediti alla loro occupazione abituale (bere la più grande quantità di alcool nel più breve tempo).
Sul suolo si stenderà uno strato di gelatina dello spessore di cinquanta centimetri, e da alcune corde penzoleranno gran quantità di mobili di ogni stile.
Molte orchestre rock saranno invitate e l’accusato sarà un vero cadavere circondato da studenti di chirurgia.
Per iniziare l’udienza si aprirà l’addome dell’accusato. L’orchestra inizierà a suonare e proseguirà per tutto il tempo dell’autopsia. Si distribuiranno schiaffi ai bambini perché accompagnino, con i loro pianti, la musica popolare. Entrerà il gruppo della difesa e costruirà oggetti sculture, movimenti con degli strumenti, pitture, torte monumentali, ecc. Per esempio potranno portare una «foresta» di manichini nudi e, in una vera e prorpia orgia accompagnata dai più violenti ritmi rock, ditruggeranno con lanci di pietra tutte le donne di gesso. Si inviterà un deputato autentico (che sarà all’oscuro di tutto) e gli si farà pronunziare un discorso mentre un professionista del tatuaggio, eseguirà di fronte a lui la sua caricatura sui seni di una bella donna. È evidente che a questo punto le prostitute e gli ubriachi staranno già a loro volta recitando.
Il rappresentante del fisco, un campione di karate, si scaglierà contro il banco dei giudici e lo frantumerà a pugni. Branchi di ranocchie schizzeranno fuori dai buchi. Gli studenti di chirurgia le cattureranno con acchiappafarfalle, per metterle nell’addome del morto e ve le cuciranno dentro. Due nani vestiti da Tarzan salteranno tra i mobili improvvisando un dialogo platonico. I militari a colpi di forbici per sarto svestiranno le orfanelle; e queste, tireranno fuori dai loro sessi delle piccole foto ovali, in cui appaiono vestite da prima comunione, e le lanceranno come confetti.
Dal soffitto piomberà un pianoforte che andrà a fracassarsi sul banco delle testimonianze: sarà il primo testimone, poi ci cadrà un enorme porco vivo: il secondo testimone. Lo si ucciderà, sarà acceso un fuoco con fasci di pratiche e lo si cucinerà al calore dei libri di legge. L’effimero si trasformerà in banchetto.
A questo punto l’effimero, adesso impossibile da controllare, proseguirà la sua marcia senza freni nell’euforia.”
16A. Jodorowsky, op. cit., pp. 65, 65.

Tratto da Jodorowsky errante – Viaggio nel cinema di Alexandro Jodorowsky di Emanuele Bertolini, 1999

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